sabato 13 aprile 2013

Ricordi

Un paio di anni fa un ragazzo che mi piaceva molto, in risposta a non so più quale mia domanda scrisse: "Il tardo pomeriggio".
Non ricordo altro di quella conversazione via cellulare, perché i ricordi con quell'etichetta erano già troppi.

Quando ero bambina il tardo pomeriggio era odore di farina e lievito, del cotone che copriva il divano e di pelle sudata e stanca.
Altre volte era la salsedine nell'appartamento al mare della sorella di mia nonna e della doccia per togliere la sabbia che dava fastidio ai grandi portassimo in giro, altre ancora delle montagne di miei libri, casomai i fiori dei giardini interni che a primavera il crepuscolo profumava di più ma soprattutto era il ronzio del grande televisore sul mobile ad angolo scuro in salotto, la tapparella verde quasi abbassata, lasciarsi filtrare sulla faccia le barrette di luce arancione del sole quando diventava rosso aranciato.

Stavo dietro alla finestra facendomi colpire gli occhi da quella luce che ho sempre pensato incredibile, sperando che tutto cambiasse, che il dolore potesse passare ma senza la minima percezione del fatto che sì: sarebbe accaduto.
Il tempo sarebbe passato e io lo speravo senza sapere che sarebbe successo davvero, senza immaginare quanto sarebbe stato brutto e triste e bello ma più che altro difficile.

Nei miei ricordi ho quasi sempre la stessa età: non sono mai stata capace di usare gli anni né in teoria né in pratica  così mia nonna ne ha avuti cinquantatré fino almeno ai sessanta, mia madre per quindici ne ha avuti trentaquattro e le mie zie ancora oggi sono convinta che siano sulla ventina e non al doppio.
Quello che guardavo era un copione riproposto in un tempo immobile.
Eravamo sempre noi, eravamo sempre lì, per anni tutto quello che di importante avevo conosciuto era sempre rimasto uguale e una bambina che ha sempre sei anni non fa caso alle rughe, non capisce la vecchiaia ma conosce quello che tocca e quello che toccavo era lo stesso da che avevo memoria.

Il primo passo per capire che il tempo esisteva furono i racconti delle mie nonne, di quando erano giovani o bambine.

La mia bisnonna nacque nel 1915 e perse i genitori e qualche fratello per via della spagnola, a otto anni iniziò a lavorare in fabbrica e avrebbe voluto studiare matematica e geografia e viveva insieme alla sua di nonna, che faceva il caffé con qualcosa che caffè non era e rammendava coperte e cuciva vestiti, tutto perché di soldi non ce n'erano.

Mia nonna aveva un padre commerciante, tre sorelle e un fratello, qualche scimmia in casa e un grande amore.

D'accordo - il tempo esisteva - ma da che c'ero io si era evidentemente fermato.
Il mio universo appariva così eterno da potermi rassegnare all'idea che il tempo da qualche parte fosse esistito, ma senza esagerare.

Il secondo passo per capire che il tempo esisteva fu la morte e come da bambina fissavo la luce del Sole dietro alla finestra sperando in un cambiamento con la rassicurante consapevolezza che non sarebbe mai avvenuto, escogito fantasie in cui posso ritornare ad allora sapendo perfettamente che non potrà accadere mai.







Biglietto

Ai tuoi capelli neri
a quando cammini col naso per aria
alle volte che mentre ti parlo smetti di ascoltare
perché non è che interessi troppo a te;
A ogni tua risata, anche quelle brutte.
Alle tue espressioni che conosco
terribilmente bene.
Ai buchi che scavi sempre se te ne vai
a chi tratti con orribile disinteresse;
a quanto sei bambino
A quando resti assorto,
a tutto il vuoto che hai in fondo e per questo ci siamo noi

Brindo ogni bicchiere.
Grazie