giovedì 31 gennaio 2013

Riguardando la mia via 2

Orso era un pastore belga.
Nero, aggraziato, discreto.
A me faceva un po' paura, non perché fosse un cane meno che adorabile, non so. Suppongo di non essere mai stata di quelle persone che prendono con gli animali tanta confidenza da infilar loro mani in bocca e cose del genere, ma lo amavo davvero.

La leggenda domestica narra che il prozio, Roberto: fratello del mio nonno paterno, lo trovò piccolissimo a lato di un fosso, lo portò a casa e con l'entusiasta complicità di una delle sue nipoti (una mia zia) all'epoca credo undici o dodicenne, nascose il cagnetto sotto al letto.
Fino a che non iniziò ad abbaiare e tutta la casa si accorse della sua presenza; immagino un momento di subbuglio generale che mi dispiace veramente essermi persa.
Ma nemmeno la bisnonna e la nonna, rispettivamente madre e cognata di Roberto e grandi antagoniste di tutto ciò che poteva essere disordine, ebbero il cuore di mandare via un cucciolo, ormai abituato a vivere lì.
Il che francamente ancora mi stupisce.

Erano entrambe donne dalla personalità più che dominante, imperativa. Nei miei ricordi le chiamo tutte e due "Nonna" contemporaneamente e sapevano sempre a chi mi stessi rivolgendo, perché le mie nonne sapevano tutto.
Il loro cammino si era incrociato quando il nonno, ancora ragazzino, si era innamorato di "Tizzi", o "to nona, quala là" come la chiamava la suocera. Temo che nessuna delle due fosse troppo entusiasta dell'altra e temo che sia poco chiamarlo "eufemismo".
Si erano trovate a coabitare in uno spazio ristretto: stessa casa, stessa attività, stessi parenti, il che aveva alimentato un livello di competitività per il quale non trovo similitudini.
Quando una delle due sentenziava su qualche argomento, l'altra - sguardo fisso sui propri affari, espressione vacua e silenziosamente perplessa - alzava spalle, sopracciglia e mostrava disappunto passivo che era ogni volta una pugnalata: disaccordo e calibrato disinteresse, espressione di sufficienza che rimaneva dipinta sul viso per numerosi minuti e a volte ore, in mezzo alla famiglia e a qualche lavorante tutti riuniti in forno, che assistevano al confronto e osservavano la vittoria, sempre di chi delle due riusciva a far vacillare la sicurezza dell'altra, tremare la posa del suo viso.

In casa mia lo sprezzo per chi non si rispetta non è mai stato mascherato. Incoraggiato, piuttosto.
All'epoca dei miei ricordi le forze si equilibravano bene ma credo che nonna, arrivata ventenne in casa del marito, abbia dovuto faticosamente apprendere come gestire simili dinamiche prima di poter competere con la suocera e credo abbia imparato dalla migliore.

Orso, incredibilmente, mise d'accordo tutti.

Quando arrivai lui aveva dieci anni e nessuna intenzione di dare il proprio consenso, come membro ormai storico della famiglia, al mio ingresso in casa.
Abbaiava, latrava, mostrava ostilità nei miei confronti e se esiste anche per i cuccioli di uomo una sorta di imprinting forse non è tanto strano che nel pezzo di vita che abbiamo condiviso io abbia sempre mantenuto un certo contegno, senza mai infastidirlo.

Un pomeriggio qualcuno appoggiò a terra la cesta di vimini nella quale mi portavano in giro e si distrasse.
Quando l'irresponsabile adulto che mi aveva in custodia in quel momento si girò, nessun rumore lo aveva avvertito ma la scena mostrava come il cane avesse fulmineamente appoggiato le zampe anteriori sul bordo della cesta, invadendola completamente per masticare, non si poteva distinguere cosa.
Momento di panico, poi di nuovo quiete: il ciuccio.
Orso mi aveva sfilato dalla bocca e si era messo a masticare il mio ciuccio.
Avrà pensato che d'accordo, forse era il caso di abituarsi alla presenza di quella cosetta che tutti parevano volersi spupazzare ma che i giochi di plastica dovevano rimanere per sempre una sua esclusiva.

Così iniziò un'alleanza: mi era permesso rimanere, a patto che fossi sotto la sua diretta supervisione, senza andarmene mai.

Sapeva quando era il momento di entrare in forno - tra la fine del lavoro di giornata e le pulizie - non tanto per questioni igieniche quanto per non essere d'impiccio a chi stava lavorando.
Sapeva attraversare la strada: a quattro anni potevo andare sola con lui al giardino dietro l'angolo sicura che non sarei stata investita, né importunata da estranei perché avrebbe abbaiato e il piccolo giardino pubblico era un rettangolo cui uno dei lati lunghi dava su una fila di case e botteghe dalle quali entravo e uscivo liberamente: ero guardata a vista, ma anche non fosse stato, lui bastava.
Faceva il bagno nella stessa vasca che avevo usato io, di plastica gialla e non sono sicura l'avessero comprata per me poi girata a lui come usato di lusso, più probabilmente era il contrario.

Orso camminava con me e non si allontanava mai.
Ero piccola, ma senza sforzo lo penso e lo vedo ancora: una bestia nera seduta pacifica di fianco a me nell'erba, allertato dalla presenza di uno sconosciuto passante, corso via a qualche metro e subito tornato perché ogni tanto doveva pur sgranchirsi anche lui. Con un pelo nero e bellissimo che io, quando sognavo di essere un cane, lo desideravo proprio identico.
Più di tutto lo rivedo riverso a terra nell'androne di casa, a lato della scala pochi anni dopo, posato sulle piastrelle grossolane di colori spenti.
Aveva sedici anni, il ventre scosso da un respiro affannoso e aveva badato bene di non essere nei piedi a nessuno nemmeno per morire.






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